Wine2Wine Preview: intervista a Paul Mabray

Paul Mabray

Paul Mabray

Le nostre interviste in anteprima ad alcuni protagonisti del prossimo Wine2Wine, il forum sul business del vino (Veronafiere, 4 e 5 dicembre) si concludono con Paul Mabray.

Parliamo di un protagonista di primo piano della rivoluzione digitale nella filiera del vino USA e internazionale. In particolare, da vent’anni Paul si è focalizzato sull’innovare prima la filiera commerciale indiretta, fondando nel 2002 Inertia, società che creò la prima forma di distribuzione elettronica del vino negli USA, quella che chiamiamo oggi DTT, Direct To Trade. Poi, nel 2008 ispirò e guidò gli sforzi per spingere le cantine ad aprirsi alla relazione diretta verso i consumatori, il DTC o Direct To Consumer, attraverso la società VinTank.

Di recente, Paul Mabray si è svincolato dalle attività imprenditoriali dirette, e al momento partecipa a diversi comitati direttivi di società impegnate tra big data e l’AI, Artificial Intelligence (qui il profilo redatto dalla manifestazione).

D. Paul, dicci qualcosa sullo stato del DTC (Direct To Consumer) per le cantine americane.
R. Ci troviamo in ciò che resta degli anni felici del DTC, un periodo nel quale abbiamo necessità di modernizzare il nostro approccio alla subscription economy (n.d.r.: il modello di business basato sulla sottoscrizione di un abbonamento a un servizio di vendita di prodotti e servizi, mutuato dall’editoria e - grazie a Internet - adattatosi oggi a molteplici altri settori. Maggiori info in italiano qui).
Inoltre dobbiamo ristrutturare tutto il nostro approccio alla vendita del vino, canalizzandolo direttamente ai consumatori. L’argomento è complesso, i lettori di Fermenti Digitali possono trovare elementi di approfondimento in questo contributo che ho dato sul futuro del DTC per WomenWine (qui il file da visionare) e in questa copia del "5 Tribes Report" e il mio collegato intervento in Nuova Zelanda.

Il comparto commerciale del vino è costruito su diversi livelli di intermediazione. Pertanto, la competizione tra i produttori si focalizza quasi esclusivamente su questa tipica struttura di mercato. Perché avrebbero bisogno di cambiare approccio?

Questo paradigma di mercato, sfortunatamente, sta diventando sempre più congestionato, rendendo praticamente impossibile l’accesso ai mercati (in termini economici e di sostenibilità), e questo nonostante la forte domanda dei consumatori. La pressione è avvertita da tutti i livelli degli intermediari, e la struttura corre il serio rischio di crollare.

DTC è anche una questione di strumenti, ma soprattutto riguarda strategie e comportamenti conseguenti. Quali sono i più importanti secondo te?

Per me DTC è la rappresentazione dell’acronimo di Direct To Consumer. E’ la filosofia del saper fare DIRETTAMENTE queste cose: attrarre, coinvolgere, vendere e trattenere i consumatori mediante una capacità di relazione sostenibile.

Molte cantine italiane esportano i loro vini negli USA e hanno una solida posizione di mercato grazie ai loro importatori, distributori e rivenditori. Ma accedere all’importatore e alla sua rete di vendita è solo l’inizio del lavoro. Le cantine italiane non possono vendere direttamente negli USA, ma possono impegnarsi in attività di promozione del proprio marchio. Quali canali o attività suggeriresti di esplorare e testare?

Di nuovo, ricorrendo alla mia filosofia descritta sopra, non hai bisogno esclusivamente della vendita per aderire all’idea del rapporto diretto col consumatore. La magia del marketing digitale è che è sempre stato diretto al consumatore. Ricordate che il digitale è un elemento fondamentale della contemporanea cultura americana (parliamo del paese, e in particolare della California, dove questa cultura è stata concepita e diffusa, n.d.r.). Le cantine italiane devono investire e capitalizzare in questo canale, avendo cura di sviluppare una strategia ben articolata tra i vari tipi di media digitali. Negli USA parliamo di PESO - Paid, Earned, Shared, Owned (cioè media “pagati”, “guadagnati”, “posseduti” e “condivisi” - qui alcune info dalla letteratura, n.d.r.).
E’ l’approccio migliore per catalizzare la trazione prodotta dall’attenzione dei consumatori attraverso i media digitali e creare una relazione diretta con loro. Insomma, sviluppare e promuovere il proprio marchio stabilendo relazioni con chi consuma e paga direttamente i nostri prodotti.

In Italia abbiamo molti turisti nord-americani che acquistano bottiglie durante le visite in cantina e si fanno spedire il vino direttamente a casa negli USA. Cosa ne pensi?

In Nuova Zelanda lo chiamano DTIC che starebbe per Direct to International Consumer - si tratta di un modello complesso e articolato, che richiede nuove soluzioni più efficaci delle attuali, ma che in ogni caso dimostra quanto sia forte la domanda dei consumatori. Se un enoturista è così disposto a pagare una maggiorazione per le spese di spedizione e attendere un periodo di tempo relativamente lungo per ricevere il vino a casa, immaginate le possibilità se i vini potessero essere in qualche modo già disponibili al ritorno a casa del consumatore e a un costo di spedizione 10 volte inferiore (mentre scriviamo questo post, ci viene in mente almeno una soluzione disponibile in Italia che parzialmente va incontro all’idea di Paul, n.d.r.).

Negli USA  dovete confrontarvi con l'antidiluviano sistema distributivo detto “3-Tier System”. Un sistema corroso dal tempo ma non ancora demolito, che oggi costituisce una poderosa barriera all’accesso al mercato per le piccole cantine. Recentemente hai dichiarato che “oggi più che mai, il settore del vino ha bisogno di una via alternativa di accesso al mercato”, alludendo ad alcuni sforzi in atto per aggirare queste barriere. C’è un ritorno di interesse sul DTT? So che stai testando una nuova piattaforma distributiva, LibDib, cosa ne pensi?

A Wine2Wine parlerò diffusamente e approfonditamente riguardo LibDib, dei suoi benefici e delle sfide che pone al mercato. A mio parere, non penso che LibDib sia la panacea di tutti i mali del 3-Tier System, ma di sicuro per i marchi delle piccole cantine è un essenziale (e di costo ridotto) punto di ingresso per l’accesso al mercato.

Tu sei un grande esperto e appassionato di software CRM - Customer Relationship Management (software per la gestione della relazione col cliente, n.d.r.). Pensando a una platea internazionale, quale soluzione ti sentiresti di suggerire ai nostri lettori?

Grazie! La mia vera passione riguarda l’antropologia e la psicologia del CRM. Purtroppo, quell’acronimo è stato imbastardito sempre più dalle società di software. Il CRM nasce con la filosofia della gestione della relazione interpersonale. Ancora una volta, nessun software potrà mai funzionare se la vostra azienda non tratterà il CRM come una vera filosofia della relazione interpersonale con i propri clienti. Riguardo allo strumento, cercatene uno in grado di raccogliere più dati possibile e nel modo più efficiente, che sia in grado di suddividere i dati in categorie che si prestino all’uso per attività sia manuali che automatiche. Tutti i consumatori sono importanti, ma ogni consumatore non ha la stessa importanza di un altro. Il software deve rispondere fondamentalmente a questa domanda, nelle dimensioni di scala e velocemente.

Hai scritto di recente: “Se mi avete mai sentito parlare saprete che assegno maggior valore al coinvolgimento con i clienti rispetto la creazione di contenuti, specialmente guardando alle vanity metrics (le metriche della vanità) come reach, views o likes”. Questo aspetto è ancora al centro della tua attenzione?

Non per questa conferenza. Parlerò di DTC e di catalizzatori del cambiamento per la domanda dei consumatori e l’accesso al mercato (per es. Vivino, LibDib). Secondo il mio punto di vista, per l’economia digitale attuale quei parametri saranno sempre più importanti, perché dimostrano la misura di una brand advocacy qualificata.
Potrei dire di più, ma veramente il mio obiettivo quest’anno sarà quello di illuminare il settore del vino attraverso un positivo e forte incoraggiamento a guardare al futuro e alle innovazioni, in modo che i piccoli e medi marchi del vino possano essere sostenibili nonostante la globalizzazione, il consolidamento del mercato, ecc.
Ciò che non voglio è vedere il settore del vino soffrire orribilmente a causa del Darwinismo digitale.

(traduzione a nostra cura)


Questi i due workshop che Paul Mabray a Wine2Wine: